Le prime collaborazioni

Il primo negozio a Milano di Fiorucci (1967) venne realizzato in collaborazione con una scultrice, Amalia Dal Ponte, chiamata a comunicare la personalità di un brand nascente e già allora rivoluzionario.

Alla realizzazione dello store di New York ha contribuito Andy Warhol, mentre il noto artista statunitense Keith Haring nel 1984 si occupò del restyling di un altro negozio Fiorucci a Milano.

Keith Haring per Fiorucci, Milano (1984).

Perché un colosso del calibro di Fiorucci ha scelto di affidare i suoi negozi a figure così distanti dal mondo della moda?

Alessandro Mendini lo spiega molto bene: “la decorazione ha un identico effetto ovunque venga applicata, l’emozione che produce è la stessa, che sia su un abito, su un mobile, su una parete”.

Grazie all’arte e al design un negozio riesce ad offrire un’esperienza di spessore, un’emozione che si lega indissolubilmente alla marca.

Fiorucci e Mendini, un colpo di fulmine

La collaborazione tra Elio Fiorucci e il designer/architetto/artista Alessandro Mendini è partita con un colpo di fulmine: Alessandro vedeva nel modo anticonformista ed eclettico di Elio il suo stesso slancio nei confronti del design, e viceversa.

Questione di feeling.

L’estetica di Fiorucci durante la collaborazione con Alessandro Mendini.

 

Combinare sensibilità diverse in un progetto comune, realizzare il massimo potenziale di un progetto lungimirante: ecco cosa succede quando due professionisti lavorano bene insieme.

Il designer italiano Alessandro Mendini seduto su una delle sue opere più celebri, la Poltrona Proust.

La continua ricerca di stimoli nuovi

Integrazione di Poltrona Proust nel design di un negozio.

Alessandro Mendini non si faceva intimorire dalla varietà degli ambiti in cui si trovava a operare.

Le sue collaborazioni sono state una miniera di nuove opportunità: da progetti di architettura al design di oggetti, dall’arredamento alla collaborazione con marchi di moda, oggettistica, lusso e tecnologia.

Lo store progettato per Fiorucci si aggiudicò addirittura il titolo di “gospel of cool”.

Cosa ci insegna tutto questo?

Che bisogna osare ascoltando anche chi opera in campi diversi dal nostro, perché oggetti inconsueti, abbinamenti audaci, contesti nuovi e coinvolgenti possono dare nuova vita al design di un negozio.

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